A giudicare dai titoli delle sue mostre la fantasia incisoria di Mimmo Sarchiapone sembra voglia esplorare con un bulino instancabilmente puntiglioso i meandri della memoria.
La Pescara dell’epoca dannunziana, le angolazioni della vecchia Bologna, quelle autobiograficamente più intime, sognate nel ricordo della sua Lalla, somigliano altrettante coniugazioni di un paradigma unico, strutturato dall’evocazione insaziata.
E l’esteta che non dimentica di valutare con criteri trascendenti l’opera d’arte, potrebbe rileggere nei segni di Mimmo, anche se solo inconsapevolmente echeggiata,tanta parte della vicenda culturale che ha connotato la memoria in questo secolo ormai al declino. Dalle esperienze proustiane del tempo perduto e ritrovato, alla demitizzazione esistenziale della ragione storica, fino alla funzione liberatrice del ricordare, teorizzata da più parti, non sarebbe difficile scorgere nell’opera dell’artista pescarese l’interferenza della tematizzazione memorativa. Ricordando il tempo perduto egli lo ritrova, ritrovandolo l’esistenzializza, esistenzializzandolo libera la sua anima dal determinismo del passato ineluttabile, popolandola di risurrezioni. Da questo sostrato inconscio emergono, moduli inconfondibili, i segni della presenza rivissuta. In omaggio allo strumento tipico che li incide, e che in questo caso esigerebbe l’assonanza etimologica “stile-stilo”, quei segni compongono, nella varietà delle tecniche usate e delle immagini dissepolte, l’espressione personalizzata dell’incisore.
Finora essa appariva soltanto come contemplazione apollinea del mondo. Infatti le sue opere non offrivano impressioni tormentate nel pur elaboratissimo gioco di linee contigue, traverse, intrecciate, aggrovigliate. Il travaglio motile dei segni diventava fruizione di una vita immobile, suggerita non solo dalle pose fotogratiche che hanno ispirato l’artista, ma anche dalla sua aspirazione a stendere veli di calma sull’accelerazione del tempo, quasi per tacitarne gli strappi dolenti. Ne conseguiva la predilezione per i volumi fissi e gli spazi semideserti, ove le case e le finestre sembrano custodie di misteri sigillati, e le forme umane appaiono più come sagome offerte al godimento contemplativo anzichè come forze che vogliano spingere avanti il corso della storia.
Che su queste istantanee di passi sospesi si stenda un’atmosfera di silenzio non e difficile costatare.
Ma essa diventa esteticamente più raffinata in quelle creazioni, tra le più felici dell’incisore, che egli ha chiamato “Luoghi della memoria“. La serie deliziosa dei giardini, rassegna fastosa di ramificazioni-fogliami fioriture,e un involucro troppo silente, perchè privo di un’umanità che lo percorra dopo averlo costruito per la propria quiete. Malgrado la dilatazione espansa dei rigoglii, quelle immagini sono rimpianti di passi perduti, come se i cancelli chiusi o le ringhiere che a volte si profilano volessero sbarrarne definitivamente la scansione. Cosi nell’esplosione della vitalità arborea l’artista si e trasfigurato in lirico dell’ assenza, quasi la sua sposa (Lalla) voglia farsi ritrovare mediante la rimozione delle sembianze, unicamente nell’idealità di un giardino, insieme rigoduta. Quest’universo memorativo sembrava stilisticamente cosi codificato da non dover subire ormai altre fratture formali che non fossero semplici variazioni di gamme. Invece, sulla sua serenità si e abbattuta la devastazione uraganosa delle forme come la tempesta sul riposo di un’estate lussureggiante. E la fantasia di Mimmo, che finora mi si faceva definire facilmente, riesumando un’espressione di Mallarme, musicatrice del silenzio, ha scatenato all’improvviso l’orchestrazione del grido e dello schianto. Se l’assenza del passato suscitava in lui una specie di anamnesi platonica, superando le lacerazioni dei distacchi con la nostalgia dell’armonia archetipa, questa imprevedibile memoria passioni ha isomorfizzato il suo strazio con l’olocausto di un’intera città. Ed i segni che, mediante i bordi smangiati di fiori e di foglie, tendevano a creare effetti impressionisticamente sfumati, concentrandosi nell’analisi dell’umanità dilaniata, hanno sostituito la poesia calligrafica dei filamenti con i tratti corposi di una tensione espressionisticamente sofferta.
In queste opere l’ambiente e scomparso perche distrutto dalla guerra; e rimasto soltanto l’uomo con la sua tragedia nuda.
Per una interpretazione esatta della mostra ortonese dedicata al 50° della battaglia che ridusse la città ad un ammasso di rovine, e indispensabile tenere presente la cesura formale-esistenziale che la memoria di Mimmo offre in queste opere. Essa vuole ritrovare, trascendendo la ripresentazione deformante operata dalle due parti inietta, la lacerazione primordiale del dramma nell’innocenza delle vittime inermi fra gli scontri di due violenze contrapposte.
Gli avversari infatti occupano un ruolo marginale di fronte alla tragedia degli abitanti, sui quali fiammeggiano i roghi della devastazione. Giacche l’artista, non dimentico delle sue incisioni a colori, ha introdotto in queste opere l’elemento cromatico dei rossi e dei gialli come orizzonte della distruzione apocalittica. Ma quelle fiamme appaiono soltanto come commento allusivo. L’autore ha voluto scandagliare unicamente gli abissi del terrore in tutta la brutalità delle sue fasi, la fatalità di una fuga straziata, l’invocazione urlata della fine. i volti infantili che chiedono cibo, le contorsioni protettive delle madri, le sembianze rantolate nella morte.
L’incalzare impietoso il immolazioni e dissolvimenti, come si dispiega in queste immagini, chiede all’osservatore un criterio che, squarciando il velo della fruizione puramente visiva, sappia percepire nella passione di un intero popolo la rinascita della catarsi liberatrice. Da parte sua l’artista l’affida allo stessomodulo che lo ha guidato alla sorgente originaria della tragedia. Anche la ricostruzione riparte dal nulla,in un suolo desertificato dalla guerra, ma finalmente sgombro dagli eserciti che si sono combattuti.
Le forme delle popolane, che nella visione di Mimmo sembrano le unione protagoniste della rinascita, riesprimono l’essenza primordiale del lavoro, quando viene svolto per sopravvivere portando nel cuore, le speranze di un’esistenza ricostruita nella pace. Gli ultimi rantoli ed i primi risvegli sono cosi vicini in queste opere da consistere nella medesima terra desolata per offrire lo stesso messaggio d’innocenza.
Ortona distrutta e riedificata, nell’assolutezza ricapitolatrice di due fasi contigue, ha donato all’incisore la possibilità d’immedesimarsi con la memoria collettiva di una città, che ricordando oggi le macerie proietta ovviamente nel futuro lo slancio della propria storia.
Archeologia ed escatologia, ritorno all’origine del dramma per riscoprire la bellezza di un’innocenza definitivamente sottratta alla devastazione dei violenti. Il pensiero del nostro secolo si riesprime cosi con il bulino insonne di Mimmo: dopo aver rivissuto la passione di Ortona, egli aggiunge un’esperienza più profonda alla funzione liberatrice della sua memoria.
(Dal Catalogo della Mostra “Gente di Ortona”, 50° Anniversario (1943-1993)
Liberazione di Ortona, Palazzo Farnese, Ortona 1993)